La Sibilla, che è da sempre al centro dell’attenzione degli appassionati di favole e storie mitologiche provenienti dal passato, è forse la più importante di queste leggende ed ha origine proprio qui, nel cuore dei monti Sibillini. Secondo la più viva credenza, lungo le pareti di questi monti, si troverebbe la grotta che fu della Sibilla, quel luogo talora incantato talora stregato in cui una fata o una megera riceveva le visite dei più coraggiosi che volevano conoscere il proprio futuro. Una concezione demoniaca vedeva la Sibilla come una rivale della Vergine Maria e, per questo, venne rilegata all’interno di una caverna. Oggi, dopo secoli di favole tramandate oralmente di padre in figlio, usate per mettere in guardia i bambini o, semplicemente, per mantenere viva una tradizione popolare, della grotta non resta che un cumulo di pietre accatastate. Invano i più curiosi sono riusciti ad addentrarsi nella misteriosità delle sue pareti. Dal giugno del 1897, anno in cui Gaston Paris e Pio Rajna, due romanisti di indiscussa fama sono arrivati a Castelluccio con l’intento di studiare le tracce della Sibilla, l’interesse per questo folklore ritrovato ha di nuovo divampato nei cuori e nelle coscienze di tutti. Da allora un’infinità di teorie e idee sono venute a prendere piede intorno a questa favola magica. La tradizione popolare si è focalizzata sul pensiero che le Sibille potevano essere state, in realtà, più di una: una schiera di maghe chiamate Alcina o Morgana, di incerta natura benigna o maligna. La tradizione colta, diversamente, inquadrava la storia intorno alla casta Sibilla Cumana, la quale, ridotta alla povertà dopo errate scelte nell’arte del commercio, si era rifugiata all’interno della grotta e lì era restata, alimentando le più fervide fantasie. Antoine de la Sale, uno scrittore del 1400 appartenente alla cultura nordica, rivedeva nella Sibilla la Venere della saga tannhäuseriana, una deità di carattere erotico. A conferma di quest’idea arrivò, intorno al 1537, il domenicano Leandro Alberti, il quale, in un suo scritto, parlava della volgarità di questa leggenda, secondo cui la Sibilla dimorava in un bellissimo reame ricco di lussuosi e adornati palazzi abitati e di giardini. In questi posti di incomparabile bellezza si compivano, durante il giorno, atti lussuriosi e lascivi, mentre la notte le donne, insieme alla famigerata Sibilla, si tramutavano in serpi alle quali bisognava pagare un pegno di piacere per entrare nel regno. Ogni anno uno soltanto dei visitatori era obbligato a rimanere in quei luoghi di perdizione; tutti coloro che potevano uscire dal regno potevano godere, per tutta la loro vita, delle grazie e dei privilegi della Sibilla. In altri casi, molto più semplicemente, la Sibilla rappresentava una sorta di oracolo al quale chiedere del proprio destino dietro il pagamento di un pegno.